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Le Nereidi – il parto

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Il giorno in cui furono partorite, la mamma loro non ne poteva più del babbo Nereo, che da 3 mesi non usciva più dalla grotta e stava sempre intorno a sentenziare.

Ad una battuta di lui sul mare che si stava facendo grosso gridò:

– Abbbastaaaa –

Sollevò le gonne e da lì uscirono una cinquantina di cosine brutte, di una bellezza staordinaria. Minuscoli pescetti di tanti colori che si sparsero oltre la grotta per tutto il mare.

I vicini di grotta, attoniti, tentarono di acchiapparne qualcuna, ma senza risultato.

Sparate alla velocità della luce provocarono un modesto maremoto che danneggiò le coste dell’Egeo, ma senza provocare morti.

A Nereo che si agitava con un retino per salvare le figlie la moglie ordinò:

– Fuori! Voglio dormire!

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Le Nereidi – i flutti

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Le Nereidi di Bologna, come tutte le nereidi del mondo, vivono tra i flutti. Sono creature che non temono l’acqua, anzi ci sguazzano e cercano per tutto il tempo della loro veglia fontane, piscine, lidi nascosti, rocce scoscese a piombo sul mare, pozzanghere e sottovasi di piante, isole protette e navi.

Portano perline sulla testa con i capelli lunghi, o anche corti, ma sempre fuori posto.

Quando non trovano luoghi disponibili in natura non disdegnano vasche da bagno, lavatoi,  secchiai e grondaie con residui d’acqua piovana.

Sono tra noi da sempre. Fin dalla nascita c’è una nereide che aiuta la tua mamma. “Portate l’acqua” ordina il dottore che presiede il parto a chi è di casa. E con l’acqua arriva sempre una nereide.

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Le Nereidi – fourever

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Bologna, piazza Maggiore deserta. Due o tre macchine della polizia ferme, qualche bus che passa e ciclisti che sfrecciano da via Ugo Bassi a via Rizzoli, e viceversa.

Il Nettuno restaurato brilla nei suoi riflessi d’onice e bronzo contro il tramonto. Se vieni su da via Indipendenza rimani abbagliata dalla sua bellezza e resti lì, acceccata, finché cala la sera.

Solo allora, se riacquisti la vista, puoi avvicinarti. La polizia ti guarda malissimo e tu tiri fuori la tua autocertificazione covid19 orgogliosa, ma l’ombra di Lui, il suo doppio misterico, proiettato sul muro di Sala Borsa, ferma di nuovo il tempo.

Sonno, mal di testa e un conato di vomito, ti accasciano sotto la sua maestà.

Starnutisci e sono mille cascate. Tranquillo, non sei tu infettato dal coronavirus, sono soltanto i putti coi delfini ai piedi di Lui e, più sotto, le mitiche Nereidi.

nered

I soprani neri – L’ANTEFATTO

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C’erano una volta 9 donne che amavano cantare.

il nono soprano

Cantavano sempre, a ogni piè sospinto: davanti ai fornelli, lungo le scale, in macchina, di nascosto dai mariti e al lavoro, bevendo il thè, lavando bambini scodelle piatti, compilando moduli e anche con la testa dentro la lavatrice per trovare l’acustica perfetta.
Avevano facce diverse l’una dall’altra, variabili a seconda dell’ora e del tempo atmosferico. Spesso indossavano ninnoli, come alberi di Natale, ma a volte no grazie si accontentavano di sciarpe che poi dimenticavano in giro, come si fa con gli ombrelli. Alcune prima di intonare una canzone mormoravano cose che nessuno capirebbe, ma sapevano anche stare zitte tutte insieme, o ognuna per conto proprio,  per ascoltare.

Prima di incontrarsi non si conoscevano affatto, ma bisognava che si incontrassero. Così fu scritta la storia.

Un giorno,  nella grande piazza che le nove donne attraversavano sempre ad orari diversi , ognuna lasciò cadere un suo qualcosa senza avvedersene: una penna smangiucchiata, un guanto, un pacchetto di fazzoletti, una piuma d’oca, una bottiglietta di acqua minerale, una spilla di diamanti finti, una fetta di zenzero, un bottone, un cuoricino di pezza.
Ogni oggetto cadendo produsse un suono che venne raccolto da uno che se ne stava sempre lì con la tromba, un musicista molto fantasioso a cui nessuno dava mai un ghello, ma che tutti si aspettavano di trovare sempre nello stesso angolo.

Egli pensò tutta la notte al suono degli oggetti caduti e compose verso l’alba una nenia, da suonare in piazza il giorno dopo e per sempre neisecolidei secoliamen. Era l’alba del 21 dicembre dell’era nuova (e.n.).

Suona e strombazza, daje e ridaje, a poco a poco le donne si accorsero del trombettista e di quella nenia che aveva qualcosa che apparteneva loro molto profondamente, così profondamente che presero la decisione di entrare in un CORO.

Tutte risposero allo stesso annuncio comparso sul gazzettino e si ritrovarono in un teatro di periferia per un’audizione il 24 dicembre e.n. alle ore 22,30 (10 pm).

TUTTE LE PUNTATE

I soprani neri – Caffeomanzia intuitiva

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Tra il calore delle attigue cucine i soprani mangiarono tutta la pizza, poi ordinarono i gelati per rinfrescarsi. Infine caffè a iosa perché tra i contralti vi era una nota lettrice di fondi di caffè, tal Langonella dagli occhi mesti.

Ella sapeva interpretarne il disegno entrando in uno stato di trance che la disponeva a dire le cose come stanno veramente, come veramente si pensa stiano, o come si possano mettere a stare quando realmente si pensa.

I soprani, ansiosi di conoscere che fine avesse fatto il maestro, che cosa tramasse la segretaria nell’oltretomba, cosa combinassero lo spazzacamino e l’orfano, dove fossero finiti i soprani non arrivati a cena, chi fosse il padre del crisocione schizzato fuori dallo specchio, se la polizia stesse ancora indagando, se la creatura che ride potesse prima o poi evolversi, quale fosse il loro vero repertorio, e che cosa riservasse loro il futuro, interrogarono langonella.

La povera langonella confuse un po’ le macchie di caffè e le domande dei soprani, i suoi pensieri e le facce angosciate dei nostri, finendo per cantare a squarciagola il suo responso e stramazzando infine al suolo senza respiro.

Un cameriere che passava di lì tentò di rianimarla ma la fatina, continuando a sfiorare con il bastone di cristallo il culo del cameriere, risvegliò langonella che, trovandosi faccia a faccia con il terrorizzato, pensò ce l’avesse con lei e dichiarò che mai più avrebbe letto fondi di caffè in vita sua.

La querzona disse:
Peccato, saresti stata molto utile nel nostro staff – E se andò con alcune tazzine sporche di caffè nella borsetta per continuare la lettura a casa sua.

I soprani neri – UN TRIPUDIO DI SCEMENZE

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Agosto, afa caldane trombe d’aria e cicale.

I soprani neri sono invitati a cena da un gruppo di contralti.

Tra i cori c’è sempre amicizia, e tra le sezioni femminili in particolare. Così accettano con entusiasmo e si fanno belle, dopo aver mandato la più alta con la ladrona a controllare che in quel locale si mangiasse veramente bene e che ci fosse qualcosa di utile per il CantEN .

La più alta rimase soddisfatta dei piatti proposti e querzona dimondi per il luccichio del posto, zeppo di oggetti importanti: lampadari, fiasconi, corde da marinaio, sedie con cuoricini, sgabelli e bottiglie di vino.

Purtroppo i contralti avevano prenotato un tavolo accanto alle cucine e accomodarono i soprani con la schiena rivolta a quelle. Il loro trucco si sciolse in fretta e presto apparirono le fonde occhiaie, approfondite dalla luce degli impietosi lampadari.

La fata piccolina, luccicante di default, sfoggiava un elegante bastone col pomello di cristallo, con il quale toccava il cameriere senza che lui se ne accorgesse.

La mezzabionda  una collana complicata di rose d’argento, la querzona un simpatico vestitino tira-api che le stava a pennello, se non fosse per la scollatura sul retro che si impigliava nella sedia donandole un aspetto refrattario.

Niuna scelse un romantico vestitone alla lavanda, faticoso da gestire per la preziosa ricamatura del fondo e l’abbinamento con ciabatte scivolose.

La moressa preferì un comodo camicione da campo di concentramento e i restanti quattro soprani sbagliorono strada e si ritrovarono al mare perché si distrassero a parlare di profumi e balocchi.

I soprani neri – CONCERTO A PANICO

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Il concerto a cui parteciparono a Panìco si tenne in combutta con un coro famoso composto perliopiù da contralti.

Data l’assenza di un maestro, come sappiamo, la querzona fece del suo meglio alternandosi tra la tastiera e le coriste. Un po’ si sbracciò per dirigerle e un po’ si inserì tra loro per cantare.

Alla fine le accusò pure di aver abbassato la tonalità durante l’esecuzione di Rossini e frustò a caso le loro schiene tanto che dovette intervenire con un ringhio il crisocione, ma i restanti pezzi furono un successone:

Wovin, Les scevres bergot, Prosit-anna, Prolasset, Cantate vomito, Oh dentiera, Trangugiaris ostia, Addio padella addio.
Si trattava di brani famosi di grandi autori arrangiati dalla più nera che conosceva tutte le lingue del mondo, anche quelle estinte.

Dirigendo e cantando con passione la querzona, nella bellissima chiesa di Panìco infestata dalle zanzare, addocchiò una valigia piena di simpatici strumenti percussivi.
Fingendo di inciampare la spinse tra le borse dei soprani che la caricarono per sbaglio nel monovolume della moressa. A niuna piacquero invece delle ceste piene di grossi ceri e caricò quelle.

Poi soddisfatte, anche del buffet, presero la via di casa e cantando in macchina consumarono una piana di bigné rubata dalla moressa.

I soprani neri 2 – LUGLIO

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Il terribile luglio calò sulla città di Bologna, con l’afa alternata a grandine, cicale impavide ed eventi in ogni quartiere.
C’era da innaffiare la siepe, l’orto della più alta e pettinare il crisocione – pelo e contropelo – 3 volte al dì.

In giugno era stata trovata la creatura che ride. Essa si alzava solo di notte e sghignazzava fino all’alba su e giù per il giardino al grido “sciò sciò via di qua, ah ah ah ah“. Portava un lungo velo nero, un paio di stivali dentati di camoscio e un cinturone borchiato con appesa una borraccia piena di sidro di crotalus atrox.

Il quartiere si svuotò, Valzer partì, e lo spazzacamino ciabattava per il giardino in mutande, una lunga maglietta e infradito, offrendo  uno spettacolo indecente. Così i soprani decisero di partecipare a una rassegna corale intitolata ” Voci d’inchiostro”, in quel di Panìco, tanto per distrarsi un pochino e mantenere la voce.

I soprani neri – IL CRISOCIONE

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Fallito il tentativo di ritrovare il maestro all’estero i soprani, tornati alla base, presero a rifettere (!!!)

Dopo aver collocato con molta cura gli oggetti rubati – lo sgabello di Mozart in bagno e il marchingegno della scuola di musica nell’atrio – donarono la giacca da baritono allo spazzacamino e si aggiustarono gli abiti neri per i futuri concerti.

La mezza bionda, avendo raccattato anche molti spartiti si stese sul pavimento per ordinarli, con gli occhiali sul naso.  occhialiantintruso
Ma per non essere disturbata indossò anche i cosiddetti occhiali da spavento, ideati da niuna contro gli intrusi, una invenzione molto apprezzata da tutte. Lo scopo, aveva spiegato Niuna con fervore ingegneristico, era di indossarli rivolti verso la porta, oppure dirimpetto alla finestra, di modo che a nessun esterno venisse voglia di avvicinarsi e curiosare. La mezza bionda appunto li sperimentò subito.

Gli altri soprani presero a camminare in cerchio per il grande salone, in fila indiana, dalla più alta alla più bassa.

Passando però dietro alla mezza bionda si spaventavano ogni volta, decomponendo la fila e dando del filo da torcere alla più saggia, che doveva rispiegare ogni volta che cos’erano gli occhiali e chi li stava indossando. La mezza bionda del resto era talmente concentrata che se ne fregava, temperava la sua matita e riempiva gli spartiti di R (respiri) ZZ (zitta zitta) PPF (piano per favore) F (fuoriesci) T (taciti).

Girando intorno per pensare meglio emettevano un suono univoco, un mantra spaventoso (mumble mumble mumble) solo a tratti interrotto da vocalizzi dei primissimi che costringevano tutte a tapparsi le orecchie. Poi d’un tratto la più alta si arrestò davanti a un grande specchio che, non sappiamo per quale artificio,  stava riflettendo in maniera anomala la forma e le dimensioni dei soprani trasformando la più alta in più grassa, la più nera in bionda, la fatina in strega, la moressa in suora, niuna in una patata americana, la più saggia in una mazza da baseball.

Ma la trasformazione più allucinante fu quella di Querzona la ladrona, che appariva nello specchio vestita da direttore d’orchestra, con una bacchetta in mano e una tastiera al guinzaglio.

Esterrefatti i soprani provarono ad allontanarsi, mescolarsi, cercare su internet, bere un caffè, infine a dare testate sullo specchio con la testa del figlio della segretaria morta.

E fu allora che un crisocione parlante si materializzò, presentandosi come la mascotte del CantEN, avente il potere di rimettere le cose a posto … tranne una, una soltanto!

Sì, accarezzando il canide tutte tornarono ad essere loro stesse … tranne un soprano, uno soltanto: Querzona la ladrona, che fu chiamata a stretto colloquio col crisocione.

Il crisocione, animale assurdo ma elegantissimo, le rivelò di essere stato mandato per assegnarle la missione di dirigere il coro fino all’arrivo del fatidico maestro.

Querzona, che aveva ora uno smoking addosso, anche un po’ largo, i capelli sempre elettrici, una tastiera al guinzaglio e una bacchetta da direttore d’orchestra, prese a menare il crisocione che, giustamente, si nascose dietro agli altri soprani che già lo amavano alla follia per la sua magica comparsa e la stranezza indiscutibile della sua figura.

– Un cane coi tacchi – esclamò la querzona – io dovrei eseguire gli ordini di un cane coi tacchi! –


I soprani neri – PRAGA MAGICA

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E arrivò la piena primavera di 30° in via dei cori stanchi numero 8.

I soprani neri, accaldati, si sventagliavano sul divano verde del CantEN, consumando the allo zenzero e provando nuovi spartiti rimediati online dalla mezza bionda.

In alternanza: riunioni su riunioni senza riuscire a programmare una sola azione cattiva.

Sfibrate, se la prendevano col gatto, o con lo spazzacamino, che con l’arrivo del caldo ciondolava nel loro giardino masticando fili d’erba. La più alta non voleva che mangiasse la maggiorana ed altre erbe indispensabili per la sua cucina, così chiamava la fatina che lo menava con la ramazza.

Il vicino di casa, sentendo gli urli, protestava; allora tutti i soprani alzavano il culo e uscivano ad insultarlo e tirargli dei sassi. Munito di una tromba da stadio rispondeva agli insulti senza vergogna ed innescava una guerra senza capo né coda che si concludeva sempre con la sua stessa resa. Richiudendo la finestra egli gridava “vi denuncio alla Corte di giustizia” e i soprani in coro rispondevano “la giustizia siamo noi e non ti diamo il numero di telefono”.

Il figlio della segretaria morta, che pure lì stazionava esercitando il diritto di avere 9 mamme al posto di quella unica assassinata, capì che così non poteva continuare: avrebbero attirato troppo l’attenzione e lui avrebbe perso 9 mammebelle tutte in un botto. Piangendo sollecitò allora i soprani a svagarsi con la ricerca del maestro e a focalizzarsi sull’obiettivo di costituire un vero coro.

Dalla ossessiva lettura del diario della sua mamma con cui si addormentava ogni notte singhiozzando, scoprì che una volta lei e il maestro erano stati a Praga, per acquistare la torre delle polveri e farne la sede di una nuova scuola di musica europea. Lette quelle pagine, i soprani decisero di partire subito per la Repubblica ceca.

Caso fu che anche il coro di professionisti in cui si erano infiltrate la più saggia e la querzona partisse proprio in quei giorni per un concerto nella città magica. Le due sarebbero partite coi professionals, aprofittando dei benefit, e i soprani neri le avrebbero scortate a distanza con un pulmino a noleggio. Il piano era perfetto.

In un primo momento la moressa voleva prendere il suo monovolume ma 7 valigie piccole, la tenda con veranda, i sacchi a pelo e tutto l’occorrente per mangiare e fare cattiverie non ci stava, così affidarono alla fatina l’incombenza di noleggiare un mezzo speciale.

Detto – fatto! Il 21 aprile sei soprani neri partirono alla volta di Praga, mantenendosi a debita distanza dal coro professional, dove viaggiavano infiltrate la più saggia e la querzona. In pulmino erano:  la moressa, la mezza bionda, niuna, la più nera, la più alta e la fatina. Solo la castana cattivella non partì perché aveva ancora la lussazione scapolo-omerale al collo, ma prese il suo posto il figlio della segretaria morta, come chauffeur.

Durante il viaggio: bucarono una ruota, fecero amicizia con un camionista svizzero, rubarono profumi in un autogrill e litigarono con la polizia stradale per eccesso di velocità.

Poi giunte a Praga il terzo giorno incrociarono entusiaste il pulmann dei professionals. Per salutare la saggia e la querzona strombazzarono e agitarono le manine e i foulard, ma le due infiltrate, perfettamente calate nella parte, gridarono dai finestrini “italiane cafone” e finsero di non conoscerle.

Il coro professional si stabilì al Hotel Europa mentre i soprani neri piantarono la loro tenda con veranda in piazza Venceslao, a poca distanza. Diventarono un punto di attrazione per i cittadini praghesi che le scambiarono per un’associazione canora itinerante, autorizzata dal municipio, dato che cantavano a tutto spiano e si esibivano a ogni ora del giorno e della notte per pochi spiccioli, che poi spendevano nei ristoranti della città.

Mentre la più saggia e la querzona si seccavano l’ugola con un vero concerto, i soprani neri bevevano birra Pilsen, mangiavano gulash e cercavano il maestro nei luoghi descritti nel diario della segretaria morta. Setacciarono le vie misteriose di Malà Strana, botteghe di strumenti musicali e musei di giocattoli, teatri e bistrot, mostrando a tutti la foto della segretaria e chiedendo se l’avessero vista in particolare con un uomo con parrucchino dalla faccia di musico.

Ma i praghesi facevano no con la testa e a un certo punto venne il momento di ripartire.

Si incontrarono con la saggia e la querzona per caricare il bottino delle due: pezzi di uno storico marchingegno musicale che tanto sarebbe stato bene in via dei cori stanchi 8,  tasti di un pianoforte antico pestati da Mozart e lo sgabello su cui si sedeva, una giacca da baritono da regalare allo spazzacamino, e vestiti neri da concerto.

Purtroppo nessuna traccia del maestro a Praga. Il diario della segretaria morta era un quaderno di vaneggiamenti e sogni, decretarono, e furono lì lì per bruciarlo se il su’ figliolo non si fosse messo a gridare come un tacchino, col rischio di farle finire fuori strada in terra straniera.

Glielo lasciarono, con la promessa di tenerlo nel cassetto e piangerci pure sopra ogni notte, ma senza riferire loro mai più cosa contenesse. Erano proprio stufe delle parole della segretaria morta,  che continuava ad esistere pure da morta attraverso quella tassa di suo figlio.

I soprani neri – UNA LUSSAZIONE SCAPOLO OMERALE

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La castana cattivella, nell’entusiasmo di incontrare un vero maestro di coro, che oltretutto lasciava una cena importante per allungare loro del dolce, estrasse lo smartphone.

A casa avrebbe filtrato gli scatti (vedi quarta puntata ) e postato il resoconto della splendida serata.

Purtroppo nell’entusiasmo inciampò in un gradino e finì con la testa nel cesto dei tramezzini. I soprani, nel tentativo di aiutarla a rialzarsi, le provocarono una lussazione all’articolazione scapolo omerale e il maestro si eclissò senza nemmeno lasciare loro il dolce, anzi mangiandoselo mentre rientrava.

Castana cattivella fu accompagnata al pronto soccorso e poi portata a casa dove si chiuse per un po’ di tempo a lavorare sulle immagini scattate al concerto.  Il gatto Gregorio le avrebbe dato una mano e riuscì a restare connessa col mondo per mesi e mesi, senza cantare.

Le altre tornarono ognuna alle proprie ricerche.
Moressa e la più saggia furono viste al mare, la fatina a un concerto di Gianna Nannini, la più alta in montagna,  la più nera vagar cantando con una civetta sulla spalla, niuna e mezzabionda a lezione da un baritono, mentre la querzona restò coinvolta in uno scambio di Nokia in disuso.

Ma oramai era quasi primavera e presto i soprani neri avrebbero raggiunto altri tremendi obiettivi.

I soprani neri – L’ASSEDIO

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Verso la metà di marzo, e qualche riunione al vertice in via dei cori stanchi 8,  i soprani decisero con più cattiveria di riprendere la ricerca del maestro.

Avevano discusso a lungo e le divergenze furono molte. C’era chi la voleva cotta, chi la voleva cruda e anche chi tentò di spiegare che fare un coro non era una questione di tempi di cottura.

Alla fine, con votazione unanime, decisero di sparpagliarsi  agendo ognuna per conto proprio, secondo il proprio istinto e la propria creatività.

La più saggia e la querzona si infiltrarono in un coro di professionisti, studiando di notte e consumandosi le corde vocali a furia di vocalizzi e messe di voce. Grazie allo zenzero della più nera, e alle tisane speciali della più alta, riuscirono a partecipare ad un importante evento corale in una location molto chic.

Con le occhiaie fonde e stivali imbottiti per resistere al freddo nell’abbazia in cui si esibirono, ebbero successo, ma non poterono evitare la presenza imbarazzante delle altre sopraggiunte sgommando con il volume della moressa a concerto già iniziato.

D’altra parte, durante l’esecuzione la stessa querzona ebbe una caduta di stile trovando il modo di imboscare un candeliere antico e un portaombrelli, mentre la più saggia fotocopiò il regolamento del coro ospite.

Tra il pubblico si erano confuse le altre, a scattar foto e prendere appunti e, dopo il concerto, continuarono a fare interviste a tutti i coristi che non immaginavano lontanamente il vero scopo di quelle nuove fans del canto corale.

Poi, mentre tutti gli invitati erano alla cena nell’attiguo locale di lusso, i soprani neri, per non lasciare sole la querzona e la più saggia, tirarono fuori una tovaglia a quadretti bianco rossi e il cestone con tutte le leccornie preparate per l’occasione, e si sistemarono sul sagrato della chiesa a fare un pic nic.

Dalle finestre le compagne allungarono vini pregiati, pane e salame.

Nessuno tuttavia, pur accorgendosi del traffico di alimenti, osò mettere in dubbio si trattasse di fans molto appassionate, anzi lo stesso maestro si intenerì, uscendo a portar loro del dolce.

I soprani neri – LA TORTACCIA

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Toc toc toc. Si guardarono attonite!
Erano le tre di notte, chi mai poteva essere a quell’ora?

La castana cattivella e la fatina si avvicinarono al portone strisciando lungo i muri. La moressa spense tutte le luci. La saggia e la più alta sbirciarono dalla finestra. La mezza bionda saltò in braccio a niuna che mollò la chitarra che cadde sul piede della più nera che calciò per istinto la querzona.
La querzona per reazione intimò allo spazzacamino e all’orfano di nascondersi e andò ad aprire con una candela fingendo di essersi appena alzata dal letto (era la più adatta per via dei capelli).

Toc toc toc. Da fuori insistevano.
– Un attimooooo, arrivoooo …. Chi è ??? – guardò dallo spioncino e vide un omarello tutto imbacuccato, sciarpa, berretto di lana, guanti e baffetti incrostati di brina. Pareva innocuo. Aprì il portone senza tema, anche perché ai lati, nascoste nel buio, stavano la castana cattivella e la fatina con oggetti contundenti.

– Buonasera signora, scusi l’orario… –
– Col cavolo la scuso, ero a letto, cosa le salta in mente di venire a bussare a quest’ora alla porta del CantEN; siamo chiusi!
– Can .. che? Veramente … sembravate aperti, io abito qui di fianco e non riesco a dormire per il casino che fate. Fuori fa un freddo cane, son tutti tranquilli in questo quartiere e a me risulta che questa casa sia sotto sequestro. Voi chi siete, la nuova proprietaria? Bella roba! Mi faccia entrare almeno che parliamo, non vede che sto gelando? –

E senza aspettare risposta l’omarello si infilò all’interno spingendo la Querzona, che cadde all’indietro con la candela.

Nel buio totale dio solo sa cosa successe perché si sentivano solo gridolini, ahiahia, tonfi, bussi, pam pam e sbèm. Poi quando si accesero le luci l’omarello era legato ad una sedia e i nove soprani gli stavano attorno in cerchio.

Si spaventò, cavolo se si spaventò, ma non poteva gridare perché l’avevano imbavagliato e messo il gattaccio sulle ginocchia.

– Se prometti di non gridare ti togliamo il bavaglio e parliamo – disse la querzona aggiustandosi gli occhiali sul naso per guardarlo meglio.

Chi diavolo sei? – chiese la fatina liberandolo dalla sua stessa sciarpa di lana, con la quale l’avevano imbavagliato.
– Abito qui di fianco, voi chi siete piuttosto ?!! –
– Questo non ti riguarda – risposero in coro
– Ma cos’è sta puzza, siete un circolo di streghe? –

Oddio la torta !!! – e tutte andarono al camino a prendere la tortaccia
– Omarello, capiti a proposito, volevamo farla assaggiare al gatto prima di mangiarla, ma visto che è anche un po’ bruciata comincia tu. –

Prepararono un bel piatto con forchetta e coltello, spinsero la vittima al tavolo e lo obbligarono a mangiare fetta per fetta tutta la torta, che non era venuta tanto bene. La mezza bionda controllava le espressioni dell’omarello convinta di avere inventato qualcosa di eccezionale.

Com’è com’è, buona vero? – insisteva
L’omarello annuiva e mangiava, così la mezza bionda prese la ricetta che aveva anche trascritto in bella calligrafia e la infilò tra gli spartiti intitolandola “tortassa in D minor”.

Finita la torta i soprani liberarono l’omarello e lo misero alla porta scusandosi per la musica e il casino; promisero che non l’avrebbero più disturbato, se lui non disturbava loro. Prima di lasciarlo andare gli aprirono il portafoglio, per vedere chi fosse.

Querzona, da una tessera che stava nel portafoglio, scoprì che era il tesoriere di un coro maschile della città e pensò bene di trattenere tutti i bigliettoni, che dovevano essere l’incasso di qualche concerto e che, per diritto sancito nel regolamento soprano redatto dalla più saggia, appartenevano a loro.

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I soprani neri – LA NEVE

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Mentre i soprani erano impegnati con la prima tortaccia del progetto pro-vittime cantEN, fuori prese a nevicare forte.

La più alta, vestita da chef, si precipitò in giardino a giocare con i fiocchi di neve. A turno tutte la seguirono, meravigliate del cambio di programma, ma pronte alla reazione collettiva: bisognava organizzarsi!

La più nera decise di attivare il camino e lo spazzacamino, che stava tranquillo sui comignoli, subodorando l’evento e stanco di starsene all’addiaccio, discese lungo la grondaia per dare una mano.

Le più pratiche ripresero a lavorare in cucina, riportando la più alta nei ranghi del suo nuovo ruolo di chef, che non ammetteva distrazioni, le ricordarono con affetto. Qualcuna restò ancora un po’ sotto la neve: niuna a intonare la chitarra, la mezza bionda a provare vocalizzi.

Le cuciniere intanto mandarono  il lavapentole con la querzona a comprare gli ingredienti per la tortaccia: farina, burro, uova, zucchero, canditi, anguria, albicocche, zucchine, pesche, mango, noci, ananas, acciughe, caciotta, aglio e mais.

Con l’occasione i due rubarono anche dei candelotti e ceri da cimitero per illuminare la neve in giardino. L’entusiasmo era grande e al loro ritorno fu tutto un tripudio di alimenti, canti e musiche, finché la torta fu infornata nel camino scoppiettante. Secondo le esperte infatti con il camino si fa tutto, basta attendere.

E nell’attesa venne la notte.

La neve continua a scendere fitta e i soprani rimasero bloccati in via dei cori stanchi n. 8, dimentichi di ogni responsabilità civile e morale.

Attorno alla tastiera con lo spazzacamino, improvvisarono danze e  ritmi. Niuna con la chitarra, lapiùnera con gli alari, la moressa con le bottiglie, la chef con le pignatte. Insomma ognuna aveva il suo ciapino da percuotere. Persino la più saggia tirò fuori un pallone e produsse pat pat e bonf bonf in sintonia con il tutto.

Poi verso le due, nel divano verde, con le teste chine sul tavolino (c’erano anche tre poltrone e delle sedie) presero a discutere seriamente del coro e buttarono giù 3 obiettivi:

– trovare il maestro
– fargliela pagare
– mangiare la torta

Mentre un profumo gradevole di torta strana si spandeva nell’ambiente, la nera attizzava il fuoco, la chef controllava la cottura, la saggia riordinava gli appunti, la cattivella scattava foto, la fatina puliva il suo machete, la moressa mesceva vini, la mezza bionda fissava il vuoto, la querzona lisciava il gatto e niuna accordava la chitarra, QUALCUNO bussò forte al portone.

I soprani neri – OPERE BENEFICHE

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I soprani silenziosi non sapevano che pesci pigliare. Erano colpevoli, certo, ma poco disposte a tornare sui loro passi; del resto nessuna aveva il potere di resuscitare i morti, benché la fatina pensasse che il lambrusco possa far miracoli. Non era comunque il caso di proporre vino dopo la gaffe della moressa.

Fuori pioveva e gli occhi dell’orfano luccicavano nella penombra.
I soprani furono attraversati da moti interiori diversi a seconda del carattere e del segno zodiacale di appartenenza: c’erano i soprani d’acqua che pensarono di affogarlo, quelli di fuoco che volevano bruciarlo, quelli di aria solo gonfiarlo e quelli di terra invece seppellirlo vivo.

Ci fu un silenzio profondo poi qualcosa saltò dalla finestra aperta: un gattaccio. Con la coda dritta passò tra i soprani e raggiunse il divano verde per acquattarsi a biascicare i semi di zucca lasciati dalla querzona.

Un gemito, prima lieve poi sempre più forte alterò a poco a poco l’aria, ma non era il gatto, nemmeno la mezzabionda.
Fu l’orfano che prese a singhiozzare e, aumentando il volume del pianto all’inverosimile, si accasciò infine sul divano con il gattaccio.

I soprani allora convertirono i loro neri pensieri in pietà e presero a consolarlo, promettendogli che avrebbero avuto cura di lui più della sua stessa mamma. Ma lo spilungone non smetteva di piangere.

Presero tutti i vini dalla credenza (teroldego, lambrusco, passito, prosecco, trebbiano, verdicchio ecc) ma nemmeno questo valse, allora la  più alta progettò un grande progetto di beneficenza: adibire nella sede del CantEN una cucina per dare conforto ai familiari delle loro vittime, passate presenti e future.

Tutte furono entusiaste dell’idea e anche il figlio della segretaria morta smise di piangere.

La mezzabionda volle fare subito un piatto ma la più alta disse che siccome l’idea della cucina era sua avrebbe coordinato lei i lavori e sussunto dei soprani solo chi si comportava bene. Le fu donato un grande cappello da chef che la rese ancora più alta e tutte si misero al suo servizio. La mezzabionda, nel ruolo di vice-chef, propose una tortaccia speciale, che sarebbe stata fatta prima assaggiare al gatto per precauzione.

La chef alta accettò e col cappellone nuovo in testa iniziò a dirigere i lavori. Anche l’orfano ebbe un suo ruolo: lavapentole, che lo rese felice e integrato.

I soprani neri ; GERECHTIGKEIT

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I nove soprani rimasero in silenzio fissando il dandy ed il suo volto così somigliante a quello della segretaria morta. Ricordarono la fotografia trovata nel cassetto dove era ritratto infante tra le braccia della sua mamma ed un po’ si commossero. Ma il fumo del bocchino continuava ad impestare l’aria.

– Qui non si può fumare – disse niuna prendendo coraggio – non te l’ha insegnato la tua mamma?

La mezza bionda le diede una gomitata, la castana sgranò gli occhi, la saggia e la più alta si guardarono disperate, la moressa pensò di andarsene al bar ma fu afferrata dalla fatina che pestò niuna che gridò ahia offendendo la sensibilità acustica della querzona che allora spinse la più nera verso l’orfano.

Sorrise, la più nera, e per mascherare l’imbarazzo disse:
– Di che segno sei?
– Cancro – rispose l’uomo
– Di sicuro al polmone,  visto quanto fumi – esclamò la più nera

Querzona la afferrò per la gonna e mandò avanti la moressa che sembrava più tranquilla.

– Non devi fumare, fa male ragazzo, vuoi bere piuttosto, abbiamo diversi vini qui?
– In effetti ho molta sete
– Vuoi del Teroldego?
– No, ho sete di GIUSTIZIA – sentenziò lo spilungone.

Un tuono tuonò nel cielo, la pioggia scrosciò improvvisa sulla sede del CantEN e i nove soprani rabbrividirono.

https://youtu.be/j7T0jRpsb2Y

I soprani neri – L’ORFANO

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Il volto pallido della segretaria morta guardava fisso i nove soprani, spiccando in modo assai sinistro nel verde dell’immenso divano dietro cui avevano mangiato semi di zucca la querzona e lo spazzacamino solo mezz’ora prima. La morta, o il suo spettro, teneva le gambe accavallate dondolando il piede destro e fumigando con un lungo bocchino nero tra le dita.

– Che fa fuma? – disse la castana
– Alla francese, col bocchino, che coraggio! – esclamò la fatina con la mano pronta sul machete sotto il golfino
– In sede poi, dove non si potrebbe! – precisò niuna
– Non è un bocchino ciecate, è il dito sozzo carbonizzato dal fuoco infernale – disse la più nera che ne sapeva a pacchi di robe infernali
– Mettiti gli occhiali e guarda meglio – intimò la querzona
– Io non voglio vedere, scappiamo ragazze – soffiò con voce tremula la mezzabionda
– Manteniamo la calma – disse la più saggia
– Giusto, proviamo a chiederle cosa vuole – disse la più alta
– Vado io – affermò la moressa.

E si avviò come se andasse al bar a pigliare un cappuccino, senza paura, con incoscienza, verso il divano verde. Ma la segretaria morta si alzò elevandosi in tutta la sua altezza. Il pavimento scricchiolò e il vento di fuori si alzò d’improvviso sbattendo una finestra con violenza verso l’interno.

La segretaria apparve ai soprani molto alta, molto più alta della più alta, fu constatato in seguito, alta quasi due metri in verticale.

Fu chiaro e ben visibile a tutte che davvero teneva un bocchino fumigante tra le dita, che era pallida come un cencio, con le occhiaie fonde dei fumatori accaniti e che indossava un completo giacca e pantaloni un po’ dandy.

Fu anche chiaro che non fosse propriamente una donna ma un uomo molto somigliante alla segretaria morta, il quale, con voce baritonale disse:

– Sono il figlio della mia mamma che voi avete ucciso  –

I soprani neri – A VOLTE RITORNANO

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L’indomani la querzona e lo spazzacamino lavorarono alacremente per fissare sopra il portone del CantEN la cetra rubata e per affiggere nel salone la croce prelevata dalla cripta di San Zama. La C della tomba del Carducci fu posta sopra il camino per accontentare lo spazzacamino, il quale riteneva ci fosse una importante attinenza misterica tra il buco del camino e la sede del CantEN.

Alla fine la querzona soddisfatta postò in watsup un invito ai soprani a raggiungerla al più presto e si nascose dietro il grande divano verde con lo spazzacamino a mangiare semi di zucca.

I soprani arrivarono alla spicciolata e si fermarono incantati davanti al portone ad ammirare la cetra. Allora querzona uscì fuori battendo le mani con lo spazzacamino dietro ed entrambi rivelarono i misfatti della loro notte brava, mostrando poi la croce di ferro e la C all’interno.

Mentre si confrontavano allegramente sull’arredamento da migliorare arrivò la polizia sgommando con quattro volanti. Spaventate, le 9 si infilarono dentro il camino e, appoggiandosi l’una all’altra, arrancarono su per la scala dello spazzacamino arrivando in men che non si dica in cima al tetto.

Da lì tesero gli orecchi, ma non si sentiva niente e si distrassero chi a guardare il panorama, chi a tentare di ripulirsi dalla fuliggine. Poi la polizia se ne andò e ridiscesero tutte nel salone, senza lo spazzacamino che se ne andò invece per i tetti suoi.
– Ora basta giocare, sono stanca – disse la p.a. – e ho anche fame!
– Andiamo a mangiare – dissero tutte insieme.

Ma uscendo si accorsero che c’era qualcuno seduto sul divano verde che le fissava.

Non aveva un bell’aspetto, era bianco in volto, e assomigliava molto alla segretaria morta.

I soprani neri – LA QUERZONA IN CRIPTA

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La Querzona era stata in silenzio in un angolo invece di lasciarsi andare alle danze e all’allegria. Lo spazzacamino tentò di coinvolgerla gettandole un po’ di fuliggine nei capelli ma nemmeno questo la animò. Il fatto è che stava pensando a un colpaccio utile per il CantEN e, quando tutte andarono finalmente a dormire, chiese allo spazzacamino di accompagnarla in Certosa.

Egli, oramai affezionato alle coriste, prese il motorino e la caricò fiducioso. Era buio ma si vedeva lo stesso la fuliggine che la querzona perdeva dai capelli ed i suoi piedi, tenuti all’infuori, spaccavano l’aria mefitica della città.

Arrivati in Certosa – era già l’una di notte – scavalcarono il cancello e si recarono nella parte più antica, sotto la tomba di Carlo Broschi. Qui la querzona rubò la cetra di marmo staccandola dalla lapide con il suo piede di porco, poi volle passare dalla tomba del Carducci dove rubò la lettera C. Lo spazzacamino, entusiasta, accettò anche di portarla alla cripta di San Zama dove la querzona portò via la croce di ferro dall’altare.

Terminato il saccheggio i due tornarono in via dei cori stanchi n. 8 e qui posarono la refurtiva con la quale avrebbero abbellito l’indomani l’ingresso della sede del CantEN, per fare una sorpresa ai soprani.

fine della ventesima puntata

I soprani neri – DAL DIARIO DELLA SEGRETARIA MORTA

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“24 Dicembre 2017

Caro amore, la giornata di ieri è stata orribile. Il riscaldamento in sede non funzionava, si è rotto un tubo e un cane mi ha morso il tallone, ma ancor peggio è stata la serata a selezionare le tue coriste, davvero disgustose. I loro curricula li ho buttati subito nel cesso, mi sono trascritta giusto le loro email per inviare al più presto i solleciti di pagamento. Quando vieni? Ci aspetta il paradiso forever.”

Questo era il tono di una pagina del diario della segretaria assassinata. Le coriste, furibonde, programmarono di profanare la sua tomba non appena fosse stata installata alla certosa, ma continuarono a leggere.

“Una si è presentata con la chitarra e, al mio invito di posarla, ha intonato una versione de La mula de Parenzo invitando tutte ad unirsi. Quelle hanno cominciato a battere le mani e far gorgheggi e mi è venuto il mal di testa. Te lo dico senza mezzi termini: con quelle voci puoi metter su un coro da strada di periferia, ma una periferia molto lontana dal centro, in zona industriale, dove andarci la domenica quando i capannoni sono chiusi. Facciamo che affitto un capannone che costa poco e le incontri una volta o due là dentro, io aumento il riscaldamento e le facciamo sobbollire mentre gorheggiano.
Comunque ho tagliato corto dicendo loro che le avremmo a breve convocate, che ti trovavi all’estero ma saresti arrivato presto. Ma quando arrivi?”

– Basta, è troppo, dobbiamo beccare il maestro e consegnarlo alla giustizia – disse la più alta togliendosi una scarpa e torcendo nervosamente il tacco tra le dita
– Prima il maestro passa di qua e gli facciamo un concerto – affermò la cattivella – garantito!
– Calma ragazze, non possiamo rivolgerci alla giustizia – disse la saggia
– Ah già, la giustizia siamo noi – disse la fatina estraendo il machete da sotto il golfino coi brillantini.

Mentre così ragionavano venne lo spazzacamino con i suoi strumenti e portò un pò di quiete ed allegria. La castana cattivella scattò molte fotografie, anche delle pagine del diario. La mezzabionda atterrita sgranava gli occhi chiedendo ripetutamente allo spazzacamino se suonasse a orecchio o con gli spartiti. Lo spazzacamino  le diede un flauto traverso imponendole di soffiarci dentro per farla star zitta. Così danzarono fino a notte fonda. La più nera indossava una gonna lunga e larga che spostava correnti d’aria. Alcuni ragni attoniti negli angoli della sede del CantEN stavano immobili per paura di quel vento.

Sigla:  https://www.youtube.com/watch?v=DGm6wPDsrRw